
Nel pieno della rivoluzione digitale e dell’avanzata dell’intelligenza artificiale generativa, una domanda comincia a insinuarsi con sempre maggiore insistenza nei corridoi delle università, nelle case editrici, nei laboratori di scrittura creativa: l’intelligenza artificiale può scrivere un romanzo davvero “umano”? La questione, apparentemente provocatoria, apre una riflessione che intreccia semiotica, estetica, tecnologia e filosofia del linguaggio. Quali sono, oggi, i criteri che definiscono un’opera letteraria? E, più ancora, è possibile che una macchina possa appropriarsi – o replicare – le strutture profonde che rendono la letteratura uno specchio dell’umano?
Oltre la grammatica: la questione dell’intenzionalità
La produzione testuale automatica, supportata da modelli linguistici di ultima generazione, ha raggiunto un livello di coerenza e fluidità tale da rendere indistinguibili, almeno a una lettura superficiale, i testi umani da quelli sintetici. Eppure, un romanzo non si giudica solo dalla grammatica o dalla fluidità narrativa. Uno dei cardini della riflessione letteraria moderna, a partire da autori come Paul Ricoeur o Umberto Eco, è l’intenzionalità. La letteratura non è solo un contenuto, ma un atto di senso: una forma che mira a produrre significati molteplici e che chiama il lettore a una partecipazione attiva, interpretativa, emozionale. L’intelligenza artificiale, per quanto avanzata, non possiede esperienza né coscienza. Genera testi in base a pattern linguistici appresi, ma non “intende” realmente ciò che scrive. Può descrivere un lutto, ma non ha mai sofferto. Può parlare di amore, ma non ha mai desiderato.
Finzione artificiale e imitazione letteraria
La “letteratura sintetica” – termine che potremmo usare per indicare i testi generati da IA – è spesso frutto di prompt elaborati da esseri umani. Il contenuto prodotto, quindi, è una forma di imitazione sofisticata, non una creazione originaria. Siamo, per dirla con Aristotele, nel dominio della mimesi, ma di secondo grado. L’IA non simula il mondo, simula chi lo simula. Eppure, alcune opere scritte da intelligenze artificiali hanno vinto premi di scrittura, ingannato giurie, emozionato lettori. Il punto, allora, non è solo cosa scrive la macchina, ma cosa noi proiettiamo sul testo. Il lettore – come sottolineava Barthes – ha un ruolo fondamentale nel produrre senso. Una narrazione generata automaticamente può acquisire valore se il lettore le attribuisce significati, simboli, emozioni. In questo senso, l’umano resta al centro, anche quando si fa da parte. Un elemento spesso assente nei testi generati da IA è la coerenza simbolica profonda. Un grande romanzo è costruito su architetture invisibili: motivi ricorrenti, figure retoriche che tessono il testo a più livelli, simboli che rimandano a una visione del mondo. La scrittura automatica tende invece a essere episodica, frammentata, anche quando è formalmente corretta. Inoltre, manca l’identità autoriale. Ogni grande autore porta con sé un punto di vista, una visione politica, culturale, etica. L’IA è neutrale, o meglio, riflette i bias del corpus su cui è stata addestrata. Questo la rende potenzialmente pericolosa, ma anche spiazzante: chi è davvero l’autore di un romanzo generato da IA? L’algoritmo? Il programmatore? Il prompt engineer?
La funzione dell’editore nel nuovo ecosistema
In questo scenario, il ruolo dell’editore non è più quello di semplice curatore del testo, ma di mediatore culturale e garante di senso. Le case editrici si trovano oggi di fronte a una nuova responsabilità: discernere, selezionare e soprattutto contestualizzare i testi prodotti da IA, evitando che la letteratura diventi una massa indistinta di contenuti generici. Occorre sviluppare linee guida etiche per l’uso dell’intelligenza artificiale nella scrittura editoriale, chiarendo cosa è generato, cosa è umano, cosa è ibrido. Trasparenza e tracciabilità sono le nuove parole chiave. In questa direzione, Edizioni &100 sta sperimentando un modello di co-creazione controllata, dove l’IA è uno strumento, non un sostituto.
Possiamo concludere che sì, l’intelligenza artificiale può scrivere un romanzo. Ma resta da capire che tipo di romanzo, e soprattutto, per chi. La vera questione non è se un’IA possa imitare la scrittura umana, ma se noi siamo pronti ad accettare – o a rifiutare – questa nuova forma di finzione. In un’epoca in cui l’identità si frammenta e la verità è liquida, forse anche la letteratura può diventare ibrida, fluida, generativa. Ma finché ci sarà un lettore che cercherà se stesso in una storia, l’autore – quello umano – non potrà mai scomparire davvero.